sabato 13 maggio 2023

Art. 1957 c.c. - clausola vessatoria ed effetti sul fideiussore

La sentenza del Tribunale di Pavia che trovate qui di seguito si inserisce nella lunga discussione che investe, negli ultimi anni, una particolare tipologia di contratti bancari: la fideiussione bancaria.

La fideiussione bancaria è una forma di garanzia che la banca acquisisce per tutelarsi nei confronti del debitore, attraverso un garante a cui possa rivolgersi nel caso in cui il soggetto principale non riesca ad onorare il proprio debito con l'istituto di credito.

Abbiamo già trattato questa vicenda ed abbiamo osservato come questo tipo di contratti prevedono una serie di obblighi assunti dal garante (fideiussore), tra i quali emerge quello di cui all'art. 1957 c.c..

La norma prevede che: "Il  fideiussore   rimane   obbligato   anche   dopo   la  scadenza dell'obbligazione principale, purché' il  creditore  entro  sei  mesi abbia proposto le sue istanze contro  il  debitore  e  le  abbia  con diligenza continuate.".

L'art. 1957 obbliga la banca a dover agire nei confronti del debitore, entro il termine di sei mesi, al fine di salvaguardare ogni successiva azione verso il fideiussore, pena la decadenza di ogni suo diritto verso quest'ultimo nel caso di omesso rispetto del termine appena richiamato.

Gran parte delle fideiussioni bancarie, però, prevedono l'esclusione esplicita di questa clausola, consentendo alla banca di poter agire nei confronti del fideiussore anche oltre i sei mesi previsti dall'art. 1957 c.c..

Orbene, la clausola che esonera la banca dal limite di cui all'art. 1957 c.c. ha natura vessatoria nei confronti del fideiussore privato?

Il Tribunale di Pavia risponde in senso affermativo, sostenendo che: "premessa la qualifica di consumatore dell'attrice, in linea generale, ed in punto di diritto, l'art. 33, lett. t) del d.lgs. 206/2005, in parte riprendendo quasi testualmente ed accorpando alcune delle previsioni dell'art. 1341 c.c., pone la presunzione di vessatorietà delle clausole che abbiano l'effetto di “sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria, limitazioni all'adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell'onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con in terzi”

La norma opera, tuttavia, in modo del tutto diverso sul piano degli effetti e, soprattutto, per quel che concerne il superamento della presunzione di vessatorietà. 

Invero, a tal fine, non è affatto sufficiente il mero adempimento formale della specifica approvazione per iscritto, ma è necessario, nei contratti conclusi su moduli o formulari, che il professionista dia prova che le clausole unilateralmente predisposte siano state oggetto di trattativa individuale (ex art. 34, co. 5, d.lgs. 206/2005). 

Non v'è dubbio che le parti possano, nell'ambito della loro autonomia negoziale, convenzionalmente escludere la decadenza del creditore dalla garanzia prevista dall'art.  1957 c.c., ma quando il garante rivesta la qualità di consumatore, la conclusione di tale accordo derogatorio deve necessariamente essere perfezionata nel rispetto delle forme di tutela non più formali ma sostanziali.".

Nel caso in cui la fideiussione bancaria presenti una deroga alla decadenza prevista ex art. 1957 c.c. in favore del fideiussore, la rinuncia a tale diritto da parte di quest'ultimo assume valore solo se oggetto di trattativa personalizzata idonea a dimostrare il consenso informato del consumatore alla rinuncia di una sua prerogativa.

Di seguito, il Tribunale di Pavia - sentenza n. 736/2022

domenica 30 aprile 2023

Debt agency: la clausola vessatoria non vincola il consumatore

La pronuncia oggetto del nostro commento domenicale ha ad oggetto una tipologia di contratti che sono in continua diffusione, ossia quelli di consulenza finalizzata alla gestione dell'esposizione debitoria del consumatore.

La vicenda è molto interessate, in quanto abbiamo avuto modo di poterla affrontare, e riguarda l'ipotesi in cui il consumatore, indebitato, si rivolge ad una società che si propone di prendere in carico i suoi debiti, dietro il pagamento di un compenso, risolvendo le controversie con i banche, fisco ed altri debitori.

Usualmente, il consumatore chiede al consulente un aggiornamento sulla vicenda e dopo non aver ricevuto sufficienti rassicurazioni da parte del professionista, chiede che il contratto sia risolto con restituzione della somma versata.

Quest'ultimo aderisce alla risoluzione del contratto, ma invoca la clausola contrattuale che prevede, come nel caso affrontato dal Tribunale di Bolzano, il riconoscimento dell'intero compenso in favore del professionista: "### in ogni caso di rapporto fiduciario, e ferme restando le previsioni di cui al d.lgs. 206/05, è facoltà del cliente di recede dal presente contratto in qualsivoglia momento, anche successivamente al termine espressamente previsto dalla legge e riportato in appresso, sub 8., previa comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.

In tale ultimo caso, spirato il termine di legge ivi indicato, la società od i professionisti incaricati avranno diritto a pretendere dal Cliente l'intero compenso pattuito.".

Nel caso di specie, il consumatore aveva esercitato il diritto di recesso dal contratto, chiedendo la restituzione degli effetti cambiari inviati alla società di consulenza.

La società aveva opposto rifiuto alla restituzione delle cambiali invocando la clausola contrattuale sopra richiamata.

Il Tribunale di Bolzano, ai fini della decisione, è stato chiamato a valutare il carattere vessatorio della citata condizione contrattuale ed opera una ricostruzione del quadro normativo previsto in materia, ricordando che la clausola può essere classificata come vessatoria nel caso in cui, malgrado la buona fede, determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto in danno del consumatore.

Con la clausola vessatoria, di conseguenza, vengono ridotti i diritti del consumatore, oppure vengono "allargati" quelli del professionista, con limitazione nell'applicazione della normativa di settore.

Peraltro, al Professionista è data la possibilità di superare il limite normativo, facendo apporre la famosa doppia firma, previa dimostrazione che la seconda sottoscrizione è stata oggetto di specifica trattativa personale. 

Quindi? il professionista può superare le clausole vessatorie, facendo firmare al consumatore in modo specifico l'approvazione della condizione contrattuale, ma dovrà dimostrare di aver illustrato e negoziato in modo specifico la clausola con la controparte.

In materia di mediazione, appare opportuno richiamare la Corte di Cassazione (sentenza n. 22357/2010), la quale ha statuito che deve presumersi come vessatoria la clausola con la quale il mediatore attribuisca a se stesso la provvigione anche nel caso di mancata conclusione dell'affare oggetto del contratto, con applicazione delle regole sopra richiamate.

Peraltro, la valutazione della clausola e della sua applicazione nel rapporto tra le parti, non può non tenere in considerazione l'attività e l'organizzazione predisposta dal mediatore nella ricerca di arrivare alla conclusione dell'affare.

E ciò è avvenuto nel caso di specie? il contratto di consulenza/mediazione ha rispettato i principi sopra enunciati e la clausola vessatoria è stata oggetto di pregressa trattativa personalizzata? ed è stata svolta dell'attività tale da giustificare il compenso preteso dal mediatore?

Il Tribunale di Bolzano è, sul punto, inequivocabile e merita di essere richiamato: "La clausola prevede infatti una cd. “multa penitenziale” (art. 1373 co. 3 c.c.) e non attiene alla misura del corrispettivo delle prestazioni pattuite. 

Nel merito, la clausola prevede che, nel caso di recesso del consumatore in corso di esecuzione del rapporto contrattuale, il consumatore sia obbligato a corrispondere alla società di consulenza l'intero compenso pattuito. La clausola non prevede dunque alcuna modulazione o gradualità dell'ammontare della multa penitenziale, in funzione dell'attività fino a quel momento concretamente svolta dalla società professionista. 

In forza di una simile previsione contrattuale, pertanto, pur a fronte di prestazioni assai limitate o ridotte (o addirittura di nessuna prestazione) da parte del professionista, quest'ultimo ha comunque diritto all'intero compenso pattuito per il solo fatto del recesso esercitato dal consumatore. 

Ebbene in tal caso, secondo l'insegnamento della Suprema Corte sopra citato, il controllo del giudice impedisce tale automatismo, che si tradurrebbe altrimenti in uno squilibrio eccessivo delle prestazioni contrattuali a svantaggio della parte debole del contratto.".

Nel caso di specie, infatti, l'agenzia aveva svolto una limitata attività nei due mesi successivi al conferimento del mandato, e non ha dato prova di aver svolto dell'attività tale, con una organizzazione volta al raggiungimento degli obiettivi perseguiti con la conclusione dell'accordo tra le parti.

Il Giudice, quindi, non ritiene giustificata la condizione contrattuale, considerandola vessatoria nella misura in cui crea una carenza di equilibrio contrattuale tra le parti, non superata da alcuna trattativa personalizzata.

Il Tribunale di Bolzano conclude dichiarando la nullità della clausola contrattuale, con ordine di restituzione delle cambiali sequestrate in favore del consumatore.

Qui la sentenza del Tribunale di Bolzano.

martedì 25 aprile 2023

Mutuo fondiario & limite di finanziabilità: nuovo intervento della Cassazione

Il nostro intervento settimanale è focalizzato su una vicenda già trattata in questo blog, ossia la validità del contratto di mutuo fondiario ove sia superata la soglia di finanziabilità prevista ex art. 38 T.U.B. comma 2.

La vicenda è stata risolta, infatti, dalla Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 16/11/2022, n. 33719, con la quale il Giudice di legittimità ha definitamente superato il contrasto creatosi sul punto, stabilendo che la norma non ha natura imperativa volta a tutelare la validità del contratto (vedi qui).

La Cassazione, con il provvedimento in commento, ha voluto dare seguito ai principi sanciti con la citata sentenza n. 33719/2022, stabilendo che l'art. 38 comma 2 del D. Lgs. 385/1983 è norma introdotta al fine di garantire il corretto esercizio dell'attività bancaria secondo un criterio prudenziale per la tutela del mercato.

Ne discende che, come osservato dalla Suprema Corte, la norma non incide sul rapporto contrattuale, non rappresentando un elemento essenziale ai fini della validità del contratto, la cui violazione possa comportare la nullità, parziale o totale, del mutuo.

La Cassazione si discosta, però, dalle Sezioni Unite nel momento in cui deve individuare gli effetti della violazione del limite di finanziabilità disciplinato ex art. 38 T.U.B. comma 2.

Mentre le Sezioni Unite hanno ritenuto che la violazione della norma di cui trattasi può al più trasformare il mutuo fondiario in finanziamento ordinario, perdendo così l'istituto di credito tutte le prerogative garantite dalla legge, diversa è la conclusione raggiunta dalla Cassazione con la sentenza n. 7949/2023.

Secondo la Corte, accertata la violazione della citata norma del Testo Unico Bancario, è escluso che il giudice possa riqualificare il mutuo fondiario in mutuo ordinario, ma si deve limitare ad interpretare la volontà delle parti, mantenendo l'applicazione delle norme previste ex art. 38 TUB e deliberazioni CICR.

La questione viene così chiarita dalla Corte: "Sotto il secondo profilo, pur convenendo sull’astratta appartenenza del mutuo fondiario al genus tipologico del mutuo ordinario, il massimo consesso della Corte di Cassazione ha ritenuto che, una volta esclusa la nullità, il contratto, in quanto valido, deve produrre gli effetti preveduti e voluti dalle parti, per modo che non è consentito all’interprete intervenire (d’ufficio) sugli effetti legali del contratto per neutralizzarli, facendo applicazione di un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dagli stipulanti, ancorché appartenente allo stesso genus negoziale.

Pertanto, qualora la volontà dei contraenti – incontestata o comunque accertata dal giudice a seguito di contestazione – sia stata diretta alla stipula di un finanziamento corrispondente al modello legale del mutuo fondiario, non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto per neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo negoziale prescelto, riconducendolo a quello generale del mutuo ordinario o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione  della  validità  del  negozio  sotto  il  profilo  del superamento del limite di finanziabilità; contestazione, che, anzi, implicitamente postula proprio la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.".

Di seguito il testo completo del provvedimento della Corte di Cassazione Sez. Civ. III^ - sentenza n. 7949/2023

lunedì 10 aprile 2023

I principi della Lexitor non si applicano ai mutui

E' già stata etichettata come la sentenza "salva banche", in quanto ha evitato agli istituti di credito di avviare una massiccia operazione di rimborso in favore dei consumatori che abbiano estinto in anticipo il mutuo.

La Corte europea, chiamata ad esprimersi dopo il caso Lexitor, ha stabilito che il principio del rimborso in favore del consumatore di tutti i costi sostenuti per il mutuo, nel caso di  estinzione anticipata non può trovare applicazione per i contratti di mutuo.

Per i finanziamenti, quindi, il consumatore può esigere la mera riduzione degli interessi e dei costi che dipendono dalla durata del credito, mentre non può recuperare, ad esempio, le spese di istruttoria.

Abbiamo trattato la questione anche di recente (vedi qui), richiamando i principi emersi con la sentenza Lexitor e il tentativo legislativo, bloccato dalla Corte costituzionale, di salvare il sistema bancario (vedi qui).

Nella vicenda decisa dalla Corte di giustizia, un'associazione dei consumatori austriaca, Verein für Konsumenteninformation (VKI), ha convenuto in giudizio Unicredit Austria, contestando alla banca la clausola contenuta nei contratti di mutuo e che disciplina l'ipotesi di rimborso anticipato del credito da parte del mutuatario.

La norma pattizia prevede che nel caso di conclusione anticipata del rapporto, la banca rende gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito, mentre nulla la banca deve al consumatore per le spese non connesse alla vita del contratto.

VKI contesta la clausola e chiede che ne sia dichiarata la nullità, richiamando i principi della pronuncia Lexitor e della Direttiva n. 2014/17/UE che disciplina i contratti di credito ai consumatori per l'acquisto di immobili residenziali. 

L'art. 25 della direttiva prevede che: "Gli Stati membri assicurano che il consumatore abbia il diritto di adempiere in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano da un contratto di credito prima della scadenza di tale contratto. In tal caso, il consumatore ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito al consumatore, che riguarda gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto.". 

La vicenda è terminata avanti alla Corte di giustizia, chiamata dal giudice austriaco a comprendere se possa essere prevista la sola riduzione di interessi e costi dovuti per la parte restante del credito e il giudice comunitario ha risposto in senso positivo, osservando che la norma comunitaria non impedisce all'esistenza di una norma nazionale che preveda, nel caso di estinzione anticipata, la sola restituzione al consumatore degli interessi e delle spese collegate alla residua durata del contratto.

Allo stesso tempo, il giudice europeo evidenzia che la Direttiva n. 2014/17/UE mira a tutelare i consumatori contro le condotte scorrette degli operatori di settore, facendo in modo che al consumatore sia riconosciuto, in caso di conclusione anticipata del mutuo, il diritto a tutte le somme versate alla banca per il credito e non più giustificate.

Qui di seguito, il provvedimento della Corte di Giustizia.

mercoledì 29 marzo 2023

Euribor manipolato: finalmente un giudice italiano stabilisce che le banche hanno preteso troppi interessi

Torna di attualità la vicenda “manipolazione euribor”, ossia la famosa alterazione del “tasso parametro” europeo, utilizzato ai fini del calcolo degli interessi periodici applicati dalle banche ai propri clienti nei finanziamenti a tasso variabile.

Un giudice italiano ha finalmente deciso di dare seguito alla segnalazione della Commissione europea, ordinando la restituzione del maggiori interessi versati alla banca dai consumatori (per maggiori informazioni, scrivi a info@consumatoreinformato.it).

Come è noto, nel dicembre 2013 venne pubblicata una famosa decisione della Commissione dell’Unione europea, la quale rese nota la manipolazione del tasso interbancario Euribor da parte di un cartello formato da alcuni gruppi bancari (tra i quali Barclays, Deutsche Bank, Rbs e Société Générale).

Tale condotta aveva, di fatto, alterato i tassi di interessi applicati ai mutui a tasso variabile tra il 2005 e, quantomeno, il 2008, con richiesta di interessi da parte delle banche del tutto illegittima.

La vicenda non ha mai trovato un giusto riscontro mediatico, ed è stata ampiamente contestata dal sistema bancario, il quale non ha mai ritenuto di dover riconoscere il proprio errore, rendendo ai clienti le maggiori somme illegittimamente trattenute per interessi non dovuti.

Di recente, la Corte di Appello di Cagliari Sezione di Sassari è tornata sull’argomento, con la sentenza n. 260/2022 (Pres. Rel. Spanu), ribadendo che è nulla la clausola contrattuale che preveda, quale parametro per il calcolo degli interessi mensili, il tasso Euribor manipolato, così come denunciato nel 2013.

E’ interessante evidenziare un passaggio del provvedimento reso dal giudice di secondo grado sardo, il quale osserva come: “La nullità del tasso Euribor nel periodo settembre 2005/maggio 2008 per violazione dell’art. 101 Trattato Ce e dell’art. 2 legge antitrust è quindi utilmente invocabile da parte del cliente di un finanziamento bancario indicizzato sull’Euribor, legittimato ad ottenere il ripristino delle condizioni legali anche se il soggetto mutuante non abbia preso parte all’intesa vietata.

Invero, la nullità dell’intesa antitrust a monte – recepita per determinare il tasso nel contratto a valle – comporta la nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c. della convenzione di interessi e la conseguente applicazione del tasso legale in luogo del tasso contrattuale parametrato all’Euribor.” (qui un approfondimento).

E’ del tutto irrilevante che la banca non abbia partecipato al cartello che ha posto in essere la condotta anticoncorrenziale, in quanto ha comunque tratto giovamento dalla violazione delle norme anticoncorrenziali, le quali hanno valenza imperativa ed inderogabile.

Anche questo ultimo rilievo è fondamentale, in quanto supera la più comune eccezione sollevata dalle varie banche, le quali affermano che la segnalazione della Commissione non le riguarderebbe, in quanto non facenti parte del cartello oggetto della condotta incriminata.

Nè può assumere alcuna importanza che il contratto de quo sia stato stipulato in periodo antecedente all'accertata condotta anticoncorrenziale, per le ragioni affermate dalle Sezioni Unite della Cassazione (30 dicembre 2021, n. 41994 – Pres. Raimondi, Rel. Valitutti) in materia di fideiussioni omnibus conformi al modello ABI.

Quale conseguenza? beh, appare chiaro che gli interessi del mutuo relativi al periodo contestato andranno calcolati sulla base del tasso legale ex art. 1284 c.c., con evidente vantaggio per il consumatore.


domenica 12 marzo 2023

Finanziamento chiuso prima del previsto? fatevi restituire interessi e commissioni dalla banca!

Finalmente i consumatori potranno ottenere una completa tutela nei confronti delle banche, ottenendo la restituzione di tutte le somme versate, nel caso di estinzione anticipata del finanziamento (per maggiori informazioni, scrivi a info@consumatoreinformato.it).

Tale principio è stato ribadito dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, la quale ha voluto tendere una mano in favore dei consumatori, evitando le condotte scorrette delle finanziarie nel caso di chiusura anticipata dei vari rapporti di credito al consumo.

Occorre premettere che dal 2008 esistono nuove regole che disciplinano l’obbligo di rimborso in favore del consumatore dei costi sostenuti alla banca per la concessione del credito, nel caso di estinzione anticipata del rapporto bancario.

Nonostante le norme comunitarie e il provvedimento che maggiormente ha evidenziato detto obbligo di rimborso, la sentenza C – 383/2008 o sentenza Lexitor, ancora oggi alcuni istituti di credito o finanziarie non danno applicazione alla legge e non rimborsano i clienti di tutte le somme dovute.


- Le novità introdotte con la direttiva 2008/48/UE – credito al consumo

Come anticipato, dal 1° giugno 2013, il legislatore italiano ha dato applicazione alla direttiva comunitaria del 2008, prevedendo nuove regole nel caso di estinzione anticipata del credito al consumo.

Nel caso in cui il consumatore richieda di concludere il finanziamento prima della naturale scadenza, è tenuto a versare al professionista un indennizzo pari:

- all’1% dell’importo rimborsato in anticipo se la vita residua del contratto è superiore a un anno;

- allo 0,5 % dell’importo rimborsato in anticipo se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno.

Per contro, la banca dovrà restituire tutte le somme versate dal consumatore e collegate al finanziamento ottenuto, sia i costi sostenuti alla conclusione del contratto (costi upfront), come ad esempio le spese per l’istruttoria, sia quelli che il cliente sostiene durante la vita del contratto (costi recurring), tra i quali rientrano gli interessi.

L’art. 125 sexies TUB statuisce che: “Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso ha diritto a una riduzione del costo totale del credito”.

La norma è chiara nel disporre il diritto del consumatore ad ottenere la restituzione dei maggiori costi sostenuti per ottenere il credito, laddove decida di estinguere il debito prima della sua naturale scadenza e tra questi costi rientrano anche quelli versati all'atto della conclusione del contratto (upfront).

Detti costi, negli ultimi anni, non sono mai stati rimborsati dalle banche, le quali hanno sempre ritenuto tali oneri come maturati e dovuti dal consumatore, il quale non può ottenere alcun rimborso.


- La sentenza Lexitor

Tale questione è stata affrontata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza Lexitor, avente ad oggetto i costi upfront, ossia gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore è tenuto a versare in relazione al contratto di credito consumo concluso (vedi qui).

La Corte ha affermato l'obbligo da parte dell'istituto di credito di rendere al consumatore tutti i costi sostenuti per ottenere il credito, e quindi non solo quelli recurring, ma anche le somme versate all'atto dell'avvio del rapporto bancario.

Il giudice europeo ha richiamato, sul punto, i principi introdotti con la Direttiva 2008/48, il cui fine è quello di riconoscere la massima garanzia in favore del consumatore, permettendogli di non dover sostenere un costo troppo elevato per il credito bancario, in particolar modo laddove egli restituisca il capitale prima della scadenza.

La restituzione di questi importi deve avvenire in modo automatico, in assenza di una qualsivoglia valutazione sulla natura e la tipologia dei costi collegati finanziamento o alla durata del contratto: in ultima istanza, secondo la Corte risulta corretto che qualsiasi somma versata dal cliente durante la vita del contratto, sia rimborsata dall'istituto di credito nel caso di estinzione anticipata.

Le banche e le finanziarie italiane hanno ritenuto di dover ignorare la novità normativa, nonostante i principi di applicazione siano stati esposti in modo chiaro dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.


- la legge n. 106/2021 cerca di aiutare le banche mitigando gli effetti della Lexitor

In aiuto delle banche è anche intervento il Governo, il quale ha cercato di limitare gli effetti della pronuncia della Corte di giustizia, e più in generale della direttiva 2008/48, impedendo ai consumatori di poter chiedere la restituzione di somme anticipate alle banche e da queste trattenute in modo illegittimo nel momento in cui il finanziamento è stato estinto in modo anticipato.

La legge n. 106/2021, in conversione dell'art. 11 octies decreto legge n. 73/2021 (aiuti bis), ha disciplinato il diritto di rimborso spettante ai consumatori, negandolo per coloro che avevano sottoscritto un contratto di finanziamento, con rimborso anticipato, in epoca antecedente all'entrata in vigore della stessa norma, ossia il luglio 2021, e quindi di fatto a tutti i rapporti di credito al consumo.

Appare di tutta evidenza che tale norma ha legalizzato il diritto delle banche a trattenere ogni costo collegato al credito, anche nell’ipotesi di estinzione anticipata del credito, così negando ogni diritto del consumatore alla restituzione dei costi cosiddetti recurring (interessi corrispettivi, assicurazione del credito ecc.) e up front (commissioni di istruttoria, commissione all'agente finanziario, spese gestione pratica).


- Incostituzionale la norma salva banche. Così deciso dalla Corte costituzionale 

Con sentenza n. 263/2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 11-octies, comma 2, del decreto-legge n. 73 del 2021 (convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106), nella parte in cui limita il diritto del consumatore alla restituzione delle somme anticipate ai soli costi recurring. 

La Corte ha stabilito che la direttiva 2008/48/CE (decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141) deve trovare applicazione per tutti i contratti e non solo per quelli conclusi dopo l’entrata in vigore della citata legge n. 106 del 2021. 

La Corte conclude affermando che: "Per effetto della sentenza della Corte costituzionale, spetterà, dunque, ai consumatori il diritto alla riduzione proporzionale di tutti i costi sostenuti in relazione al contratto di credito, anche qualora abbiano concluso i loro contratti prima dell’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021.".

A tutti i consumatori, quindi, spetta il diritto alla restituzione delle somme anticipate, nel caso in cui abbiano estinto il loro finanziamento prima della conclusione naturale del contratto.

Rivolgetevi alla vostra banca, o finanziaria, con la quale avete concluso il rapporto contrattuale in anticipo, e fatevi restituire i maggiori interessi e costi illegittimamente trattenuti.

giovedì 2 marzo 2023

False polizze RCA - truffati i consumatori di Treviso

False polizze RCA vendute a prezzi stracciati ad ignari consumatori, agganciati via whatsapp o con altri social, con profili creati ad hoc per garantire l'esito positivo della condotta criminosa.

La truffa è stata scoperta dai Carabinieri della Stazione di Riese Pio X, Comune della Provincia di Treviso, all'esito di una complessa operazione di indagine, avviata grazie alle segnalazione dei truffati e che ha portato alla denuncia per truffa ed uso di atto falso di quattordici persone, già pregiudicate.

Sono state accertate sedici truffe perfezionate contro consumatori di tutta Italia, ai quali sono state proposte e vendute false polizze di responsabilità civile a prezzi vantaggiosi. 

La banda ha usato uno schema collaudato, presentandosi ai truffati come falsi dipendenti di una compagnia assicurativa, a cui hanno proposto la conclusione di contratti assicurativi  RCA, a prezzi molto bassi, tra le 400,00 e i 600,00 euro a seconda del modello di autovettura.

Incassate le somme dai clienti, i truffatori hanno inviato falsi documenti attestanti la copertura assicurativa, del tutto privi di validità, circostanza scoperta dalle vittime troppo tardi, in particolare quando erano fermati delle forze dell'ordine per dei controlli di routine.

I Carabinieri di Riese Pio X hanno scoperto la banda, fermando i responsabili delle truffe, nella speranza di poter recuperare le somme sottratte ai truffati.

Trasforma questo post